Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 18 maggio 2024.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Anendofasia: non tutti possono parlare nella propria mente e questo ha delle conseguenze. Si è sempre supposto che parlare in mente con sé stessi, in quel modo definito in neuropsicologia “discorso interiore” o “discorso interno”, ossia usare la lingua naturale per pensare come se si parlasse, fosse una proprietà universale del genere umano. E questa convinzione ha attraversato la cultura nel corso dei secoli, come testimoniano gli scritti di tanti filosofi. Recenti evidenze, invece, suggeriscono che l’articolazione di un discorso interno nelle persone varia in una gamma che va dall’uso costante alla totale assenza, intesa come mancanza assoluta dell’esperienza soggettiva di “parlare nella propria mente”. La comunicazione di questa scoperta da parte di Gary Lupyan e Johanne S. K. Nedergaard ha suscitato presso i nostri soci grande interesse e curiosità circa le eventuali peculiarità cerebrali associate.

Lupyan e Nedergaard hanno proposto di chiamare anendofasia l’assenza della capacità di parlare nel pensiero o – come hanno detto loro – di una voce interiore[1]. I ricercatori riportano 4 studi, in cui gli adulti con bassi livelli di discorso interiore (N = 46) facevano registrare prestazioni inferiori nei compiti di memoria di funzionamento verbale (verbal working memory) e maggiori difficoltà nei compiti di riconoscimento delle rime tra parole (rhyme judgments), rispetto agli adulti con alti livelli di discorso interno (N = 47). Infine, è interessante notare che la prestazione al task-switching, che comunemente si ritiene influenzata da stimoli verbali endogeni, non era influenzata dall’assenza di discorso interno. Allo stesso modo, gli effetti categoriali sui giudizi percettivi erano indifferenti all’assenza di linguaggio interiore. [Nedergaard J. S. K. & Lupyan G., Not Everybody Has an Inner Voice: Behavioral Consequences of Anendophasia – Psychological Science – AOP doi: 10.1177/09567976241243004, May 10, 2024].

 

Malattia di Alzheimer: come scoprire la neurodegenerazione in fase preclinica. Christopher Brown e colleghi hanno dimostrato che combinando le misure microstrutturali ottenute con dMRI (diffusion magnetic resonance imaging) con le immagini degli atlanti di lesioni NFT post-mortem si può rilevare la neurodegenerazione prima che dia segni clinici. In particolare, si rilevano cambiamenti microstrutturali nelle regioni temporali mediali. In altre tipiche sedi di degenerazione alzheimeriana si rilevano cambiamenti microstrutturali, ma solo nelle fasi successive della malattia. [Cfr. Alzheimer’s & Dementia – AOP doi: 10.1002/alz.13832, 15 maggio 2024].

 

Amnesia anterograda: efficaci gli agonisti del recettore della colecistochinina B. Nan Zhang e colleghi hanno dimostrato in modelli murini di malattia l’efficacia sull’amnesia anterograda di un nuovo farmaco, HT-267, e di altri agonisti del recettore della colecistochinina B. Si spera che il prosieguo degli studi confermi queste buone premesse. [Cfr. Alzheimer’s Research and Therapy 16 (1): 109, May 15, 2024].

 

La flessibilità cognitiva ha effetti positivi sulla salute. Vestberg e colleghi del Karolinska Institutet hanno realizzato uno studio analitico di funzioni cognitive esecutive in 111 soggetti sani e attivi in differenti branche lavorative, per testare la loro flessibilità cognitiva e studiarne l’influenza su fisiologia e fisiopatologia dell’organismo nel suo complesso. Dallo studio emerge che la flessibilità cognitiva è associata a resistenza allo sviluppo di malattia. [Cfr. Frontiers in Psychology – AOP doi: 10.3389/fpsyg.2024.1253152.eCollection, 2024].

 

Angelica sinensis per la prevenzione delle malattie cerebrovascolari e cardiovascolari. Angelica sinensis o angelica cinese, nota anche come “rabarbaro femminile”, è accreditata di proprietà protettive e curative cerebrovascolari e cardiovascolari, ma l’uso empirico e tradizionale non è ancora suffragato da prove sperimentali e dalla conoscenza dei meccanismi d’azione delle molecole attive. Linlin Chen e colleghi propongono una rassegna di studi che hanno indagato le sue proprietà anti-apoptotiche, antiossidanti, di inibizione di meccanismi infiammatori e regolazione dell’espressione di proteine funzionali. [Cfr. Molecules 29 (9): 2100, May 2024].

 

Aggregati tau: i nuovi obiettivi della ricerca per sciogliere nodi annosi. Più di venti malattie neurodegenerative, oltre la malattia di Alzheimer, sono legate agli aggregati mal-conformati della proteina tau, ma circa i meccanismi dell’aggregazione rimangono ancora vari punti oscuri. Comunemente si distinguono gli aggregati in 1) solubili (oligomeri e protofibrille) e 2) insolubili (filamenti): i solubili sono più tossici, hanno trasmissione simil-prionica, fanno da stampo per il misfolding e sono quelli più intensamente indagati. Due recenti scoperte hanno gettato luce sui meccanismi dell’aggregazione tau, ma rimangono ancora problemi irrisolti che suggeriscono, secondo Huiting Zheng e colleghi i seguenti obiettivi di ricerca: 1) chiarire il ruolo di LLPS nell’aggregazione tau; 2) rivelare gli elementi strutturali degli aggregati solubili; 3) comprendere in che modo le regioni “fuzzy coat” sono implicate nella formazione di oligomeri e fibrille. [Cfr. Int. J. of Molecular Science 25 (9): 4969, May 2024].

 

Come la biscia tassellata inscena una finta morte per sfuggire ai suoi predatori. La biscia tassellata (Natrix tessellata) adotta una tecnica straordinariamente efficace: si cosparge il corpo di bava, muschio ed escrementi come se fosse stata sporcata quando già giaceva immota, e poi si infligge un’auto-emorragia riempiendosi di sangue la bocca che lascia dischiusa, in modo che sia evidente il sangue rutilante. Due ricercatori dell’Università di Belgrado sono andati a studiare sul campo 263 esemplari di biscia tassellata, confermando l’ipotesi che escrementi, muschio ed emorragia aumentano l’efficacia della simulazione della morte mediante immobilità. [Cfr. Biology Letters – AOP doi: 10.1098/rsbl.2024.0058, 2024].

 

Forse una neurotossina può spiegare il mistero dei pesci che girano in tondo e dei pesci-sega morti. Nelle acque tropicali delle Florida, celebrate dalle guide turistiche per quell’inimitabile colore turquoise blue e per il loro fondo corallino, dal mese di ottobre si assiste a un fenomeno mai visto prima, segnalato da pescatori e turisti e riferito da Ross Boucek, ecologo marino: pesci che si vedono formare dei cerchi e ruotare in tondo, attraendo l’attenzione di chiunque vi assista.

Da circa otto mesi i ricercatori di varie branche della biologia marina sono impegnati in una corsa febbrile alla ricerca della causa. Boucek racconta che, illuminandoli con delle luci dirette, i pesci impegnati in questo comportamento bizzarro si giravano sottosopra e ruotavano verso il fondo del mare. Nei mesi seguenti l’ecologo marino ha ricevuto la documentazione di stingrays (Myliobatidae) – specie di pesci piatti romboidali come le razze ma parenti dei pescecani – rivolte col ventre all’aria, e di squali limone (Negaprion brevirostris) entrare in una violenta rotazione a spirale, come un gorgo discendente nel fondo marino. Ora si contano decine di specie interessate da questi comportamenti che precedono la morte e, fra queste, vi è la specie a rischio di estinzione del pesce sega nella varietà detta squalo sega a piccoli denti (Pristis pectinata): è stata documentata con certezza la morte di 47 pesci sega a denti piccoli, ma sicuramente il numero degli esemplari deceduti fino a oggi è di gran lunga superiore. All’inizio di aprile è stata avviata da enti governativi USA e associazioni no-profit una “risposta di emergenza” per tentare di salvare i pesci-sega, ma senza l’identificazione della causa della malattia neurologica l’impresa rimane molto difficile.

La prima traccia per i ricercatori è venuta dall’identificazione nei tessuti dei pesci colpiti di una miscela di tossine naturali, che è stata ritrovata nelle acque marine del luogo. Secondo Alison Robertson, senior marine scientist del Dauphin Island Sea Lab, l’ipotesi di lavoro più seguita è che la combinazione di tossine provenienti dalle alghe abbia creato le condizioni molecolari per un effetto tossico, determinato verosimilmente da un legame recettoriale che altera gli equilibri sinaptici, generando la malattia neurologica. Ma questa ipotesi non convince Michael Crosby, presidente del Mote, un acquario privato con laboratorio marino.

Di fatto si è rilevato: non vi sono segni di onda rossa, i livelli di O2 sono normali, così come gli esiti dei test per gli inquinanti. Allora ha assunto un particolare rilievo l’esperimento condotto in questi giorni, consistente nell’individuare pesci colpiti dalla ipotetica neurotossina e metterli in recipienti di acqua pura controllata: alcuni sono guariti in circa 25 minuti.

Ora si sta lavorando a un’altra possibilità suggerita dalla proliferazione di un microrganismo che si nutre attraverso la fotosintesi e, per questo, è impropriamente definito “alga”. È in realtà un dinoflagellato che popola la superficie dei coralli: il Gambierdiscus toxicus, una specie bentonica che produce la ciguatossina, una tossina anticolinesterasica che causa una tossinfezione alimentare nell’uomo, detta ciguatera, e dovuta all’assunzione di pesce contaminato. [Fonte: Bonefish & Tarpon Trust e Dauphin Island Sea Lab, May 14, 2024].

 

Si cercano le prove di un uso integrato dei due sistemi di comunicazione del cetaceo beluga. A proposito della straordinaria documentazione di un codice di configurazioni dell’organo adiposo (“melon”) che sormonta il capo del beluga (Delphinapterus leucas), di cui abbiamo dato notizia la scorsa settimana (Note e Notizie 11-05-24 Notule - Scoperto un modo impensabile di comunicare del cetaceo beluga) in una notula alla quale si rimanda per l’illustrazione dei contenuti dello studio, alcuni ricercatori impegnati a indagare i processi e il comportamento comunicativo di questi cetacei hanno dichiarato che, a partire dalla verifica che il team di Justin Richard ha condotto su 51 esemplari di questi mammiferi marini, gli elementi a sostegno di un uso integrato di codice vocale e codice pseudogestuale (del melon) a scopo comunicativo sono numerosi, evidenti e suggestivi. Ma, naturalmente, sarà necessario dare innanzitutto conferma che le diverse configurazioni compongano un codice, e poi si dovranno fornire prove oggettive di un reale uso intenzionale integrato delle due possibilità di rappresentazione di segnali in due differenti canali percettivi, oltre ogni ragionevole dubbio. [Fonte: Science & BM&L-Italia, maggio 2024].

 

Psicologia della coppia televisiva: danni e un grave errore di fondo. Da decenni si assiste a trasmissioni televisive in cui si pongono in gioco questioni e problemi dei rapporti di coppia, impiegando criteri e concetti di sottocultura popolare spacciati per paradigmi psicologici, nella tradizione degli equivoci da ignoranti millantatori, diffusa e ribadita come un insegnamento dal tempo dei film di Carlo Verdone, in cui si mettevano in bocca a psichiatri e psicologi parole e concetti in un significato mai appartenuto alla scienza o alla clinica. Nelle trasmissioni televisive si presume che tutti i partecipanti e gli spettatori abbiano un basso grado di intelligenza, un bassissimo grado di cultura, siano privi di sensibilità educata ai rapporti civili, non abbiamo mai letto un saggio di psicologia, siano del tutto privi di una personale visione dell’uomo e del mondo, e siano pronti a sottomettersi al politically correct imposto dal conduttore come unica morale.

L’errore di fondo è negare l’esistenza di una transizione antropologica, avviata mezzo secolo fa e non ancora conclusa, dal modello di civiltà e sensibilità dei membri della coppia vivo già nell’Atene di Platone e sviluppato nel mondo romano e cristiano, all’informe sagoma che si sta delineando di persone individualiste, focalizzate sull’interesse sessuale rappresentato come un diritto civile e su altri interessi materiali, e del tutto incapaci di rendersi conto che il loro modo di pensare e vivere reifica le persone. Questo fondo antropologico influenza la psicologia individuale dalla quale dipende il valore e il significato di quei concetti astratti, declinati in termini di sentimenti, che in questi programmi sono considerati come “oggetti discreti” che esistono indipendentemente dalle persone. [BM&L-Italia, 15 maggio 2024].

 

La scrittura criptica: psicologia del segreto, cultura del mistero o semplice necessità strategica (I parte). Scrivere per non farsi intendere, oppure per comunicare in maniera riservata esclusivamente con coloro che sono in possesso della chiave segreta per la decifrazione del codice di segni adottato nella scrittura, è una pratica presente fin dall’antichità più remota, presso tanti popoli in diverse regioni del mondo. Se oggi, nell’occuparci di questo affascinante argomento escludiamo la scrittura magica intesa in senso proprio[2], è solo perché l’abbiamo già trattata in precedenza in queste “Notule”.

Se assumiamo un punto di vista razionale e distante dalle circostanze storiche, come gli studiosi di linguistica sincronica, non possiamo non rilevare che la scrittura criptica è di per sé un paradosso, una contraddizione, un ossimoro: una comunicazione che non comunica, uno scritto che non deve avere alcun senso, anzi deve essere difficile o impossibile anche solo leggerlo. Il contenuto è segreto. Nella comunicazione vocale, cioè in quel comune e universale parlare che contraddistingue le interazioni umane, la maniera migliore per tenere un segreto è starsene in silenzio. Tacere come se si fosse muti. O, se si è costretti a parlare, parlare d’altro, fare attenzione a non rivelare, a non dare indizi. O mentire.

Ma la scrittura criptica non è nell’ordine logico della menzogna, che consiste in qualcosa che ben si comprende, ma diverso dal vero. Nella menzogna il ricevente della comunicazione non sa che lo si inganna: sente, comprende perfettamente il messaggio; magari dopo valuterà, pondererà, giudicherà il suo contenuto. La scrittura criptica si presenta come un’identità nascosta, perché si dichiara come significante che cela il significato e, dunque, appartiene all’ordine del mascheramento, del camuffamento, della finzione. È un gioco di intelligenza, e come tale ha valore per il linguista, anche se le ragioni storiche e personali di coloro che l’hanno impiegata possono presentare ai nostri occhi una gamma di differenti contenuti, giudicati in genere in base all’opinione che si ha dei fini perseguiti. E, dunque, in qualche modo la crittografia pretende che si entri nel suo gioco.

L’analisi linguistica degli esperti di iscrizioni ha consentito di ricostruire i modi in cui sono nate le crittografie antiche. Per occultare il significato si introducono nuove regole nel codice della lingua scritta, verosimilmente in alcuni casi con complessità crescente, in modo da consentire agli autori di memorizzare e consolidare le prime modifiche; in altri casi, si inventa un codice parallelo (repertorio di grafi, alfabeto, ecc.) ab initio e lo si conserva come chiave per gli eletti, gli adepti, gli iniziati o i destinatari politici o militari del messaggio. I fini dell’occultamento criptografico sono molteplici e diversi per epoca e popolo, fra i più comuni: trasmissione di una delicata informazione riservata, protezione di nomi e intenzioni divine, protezione dell’incolumità pubblica dalla vendetta di un dio o da un potere malefico, fini strategici militari, protezione di un contenuto epistolare personale da occhi indiscreti, gioco condiviso da sette, gruppi, sodalizi o semplice esibizione virtuosistica di abilità creative.

Rimandando a dopo il caso delle iscrizioni criptiche sulle tombe egiziane, ossia il più semplice nella decifrazione e il più misterioso nello scopo, prendiamo le mosse dall’uso nel mondo classico, come lo apprendiamo direttamente da Svetonio, che ci riferisce di due casi, quello di Cesare e quello di Ottaviano Cesare Augusto. Parlando del modo in cui Cesare vergava gli epistolari, Svetonio Scrive: “Abbiamo anche delle sue lettere a Cicerone e ai familiari su cose personali, in cui, se c’era qualcosa che voleva dire più in segreto, scriveva in codice con un ordine delle lettere disposto in modo tale che non se ne potesse più capire il senso. Per chi volesse capirne di più, dirò che sostituiva alla prima lettera dell’alfabeto a la quarta d, e così di seguito per tutte le altre” (Svetonio, Cesare LVI). A proposito di Augusto, racconta: “Tutte le volte che scriveva in codice metteva la b in luogo di a, c in luogo di b e così via conseguentemente per tutte le altre lettere; z poi la segnava con due lettere” (Svetonio, Augusto LXXXVIII).

Ma l’uso più comune, diffuso, antico e originario della criptografia nel mondo greco, da cui traggono origine tutti gli altri usi, è quello militare: Erodoto narra che Demarato informò gli Spartani del progetto di Serse di invadere la Grecia, facendo pervenire loro un messaggio occultato in modo tale che i Lacedemoni potessero decifrarlo (Erodoto VII, 139). Gli autori di trattati di tecniche e metodologie belliche greche, ossia di Stratagemata, ci tramandano vari modi per rendere illeggibile un messaggio che doveva attraversare le linee nemiche e giungere, ad opera di un corriere, fino a un altro accampamento dell’esercito o alle postazioni di alleati. Il più semplice e più ingegnoso di tutti è lo Skutálē, di cui si servivano anche gli efori spartani per mandare ordini ai propri strateghi sul campo di battaglia: una stretta striscia di pelle veniva avvolta intorno a un’asta o un bastone sottile, girando in modo da farla aderire perfettamente e formare un rivestimento uniforme; su questa superficie si scriveva il testo, sviluppandolo in verticale; poi si svolgeva la striscia, liberandola dall’asta e la si consegnava all’eforo. I frammenti di lettere e parole sulla striscia non avevano alcun senso, solo riavvolgendo il nastro di pelle su un’asta dello stesso calibro, come quella posseduta dal destinatario, si poteva ricomporre l’allineamento e ottenere il testo originario.

Affine alla criptografia militare è la criptografia di necessità, di cui sono documentati numerosissimi esempi, fra i quali il più suggestivo è quella del Tesoro dei Talain. Ecco qui di seguito la storia, in estrema sintesi. Anawratha, sovrano del Regno di Pagan nell’Alta Birmania, intraprese una guerra di conquista al fine di estendere il suo dominio e creare un impero corrispondente a tutto il territorio dell’attuale Birmania. L’esercito del conquistatore mise in fuga il popolo dei Talain, cacciandolo dalla propria terra e costringendolo all’esodo di massa sotto la minaccia delle armi. Nella fuga, lungo il percorso, man mano che giungevano in aree deserte, i Talain nascondevano le proprie ricchezze in luoghi poco accessibili, annotando con cura in una lingua segreta e per giunta crittografata i dati necessari a ricostruire vere e proprie mappe dei loro tesori nascosti. A Zathabyin, nel distretto birmano di Amherst (oggi Kyaikkhami[3]), sono stati trovati una lamina di rame e molti altri documenti cifrati che attestano questa criptografia che, secondo alcuni, sarebbe stata inventata durante la fuga.

Anche se la tesi secondo cui l’invenzione del linguaggio e della chiave crittografica sarebbero avvenute nelle ambasce di un popolo in fuga ha riscosso estesa approvazione da parte degli studiosi, sia come esempio di criptografia di necessità sia per la suggestione che suscita un fatto degno della trama di un libro o film di avventura, si deve notare che lo studio e l’uso di codici occulti è sempre appartenuto alla cultura birmana. Nella tradizione di quei popoli sono custoditi e studiati con cura, rispetto e attenzione, grandi trattati di crittografia, quali il Lokahitagambhῑra o la Lokahitarāsῑ, scritti per consentire di ritrovare tesori nascosti[4]. (Fine della prima parte; la seconda parte sarà pubblicata nelle “Notule” della prossima settimana). [BM&L-Italia, maggio 2024].

 

Notule

BM&L-18 maggio 2024

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[1] Noi preferiamo non impiegare il termine “voce” che si riferisce all’esperienza di ascolto del parlato, perché quando parliamo nella nostra mente non sentiamo una voce, ma conosciamo i contenuti simultaneamente allo svolgersi del flusso di pensiero. Viceversa, nelle allucinazioni uditive, il paziente sente una voce nella propria mente.

[2] Ossia quella scrittura al servizio di pratiche di magia e per questo investita di un potere attribuitole da credenze irrazionali, sviluppate sulla base di quel modo arcaico della cognizione che va sotto il nome, appunto, di “pensiero magico”.

[3] In realtà la moderna Kyaikkhami fu fondata dai Britannici dopo la prima guerra anglo-birmana.

[4] Cfr. Giorgio Raimondo Cardona, Storia Universale della Scrittura, p. 108, Edizione CDE (su lic. Mondadori), Milano 1986.